Sapete quanta acqua mangiamo? Lo racconta un libro sull’impronta idrica dei cibi che spiega come ridurre le quantità
Quanti litri d’acqua occorrono per fare un hamburger? E quanti ne servono per un uovo o un bicchiere di birra? In un pianeta sempre più povero di risorse e soprattutto sempre più assetato d’acqua, valutare l’impronta idrica di ciò che mangiamo sta diventando sempre più importante. Con l’espressione “impronta idrica” s’intende il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre un alimento. Oggi i consumatori sono invitati sempre più spesso ad essere consapevoli di tale volume; in particolare, è importante che conoscano l’elevata impronta idrica di alcune merci provenienti da paesi extra europei e che operino scelte d’acquisto razionali, contribuendo così a non sprecare un bene prezioso.
Marta Antonelli e Francesca Greco sono due ricercatrici italiane che lavorano presso il King’s College di Londra, sotto la guida di uno dei massimi esperti sul tema: Tony Allan, l’ideatore del concetto di impronta idrica. Per spiegare ai consumatori in che cosa consista quest’ultima, le due ricercatrici hanno curato un volume in cui diversi esperti affrontano i vari aspetti della questione:L’acqua che mangiamo. Cos’è l’acqua virtuale e come la consumiamo, uscito per le Edizioni Ambiente in collaborazione con il WWF.
Le due autrici, insieme a Tony Allan e ad Arjen Y. Hoekstra, docente dell’Università di Twende nei Paesi Bassi e fondatore del Water Footprint Network, spiegano perché l’acqua che ciascun alimento richiede sia ben più di quella necessaria all’irrigazione di un campo: l’acqua virtuale dei cibi si calcola tenendo conto di tutte le fasi del ciclo di produzione, trasporto, conservazione, vendita e consumo.
Si scopre così che una fetta di pane e formaggio richiede 90 litri d’acqua, un bicchiere di latte 200 litri e un hamburger consuma l’astronomica quantità di 2.400 litri. Inoltre, l’impronta idrica cambia a seconda del paese in cui l’alimento viene consumato poiché una parte del valore dipende dalla quantità di acqua presente, dallo stato delle tubazioni e della rete idrica.
La seconda parte del libro è dedicata alle filiere, alla sostenibilità, agli sprechi, alla consapevolezza e alla mobilitazione per l’acqua pubblica. In questa sessione intervengono esperti del calibro di Eva Alessi, responsabile della sostenibilità di WWF Italia, Gianfranco Bologna, direttore scientifico di WWF Italia, e Lynne Chatteron, consulente Fao sull’agricoltura non irrigua e sulle tecniche agricole pluviali. Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, illustra i benefici del chilometro zero, mentre i docenti bolognesi Andrea Segrè e Luca Falasconi affrontano il tema dello spreco di acqua nella spesa alimentare.
A chiudere questa sessione, le due curatrici che avanzano la proposta di un’etichetta idrica per tutti gli alimenti. Potrebbe avere la forma di una goccia e potrebbe fornire molte informazioni sulla provenienza dell’acqua, sull’efficienza del sistema produttivo e sul tipo di acqua (rinnovabile o meno).
La terza parte del libro è dedicata all’Italia: spazia dalla situazione attuale alla tendenze future, in un’ottica di globalizzazione al commercio di acqua virtuale e affronta il tema della scarsità idrica dal punto di vista economico.
La sezione finale del volume è dedicata all’acqua che portiamo a tavola. Gli esperti della Barilla Foundation illustrano un caso: quello dell’azienda cui sono legati e dei passi in avanti compiuti negli ultimi anni dall’azienda per ridurre l’impatto idrico nella produzione di pasta e altri prodotti. Gli autori ripropongono la doppia piramide alimentare e ambientale come uno strumento utile per migliorare la consapevolezza dei consumatori sull’impatto ambientale e idrico dei cibi.
Due casi concreti molto interessanti esaminati nel libro sono quelli del vino Doc e dei prodotti italiani a marchio Dop seguiti dall’ultimo capitolo che descrive l’impronta idrica del pomodoro Mutti.
Il volume affronta il tema con un approccio multidisciplinare, chiaro e comprensibile. Sulla quarta di copertina campeggia un bell’aforisma della Fao Il mondo ha sete perché ha fame cui seguono altri esempi significativi: per 1 kg di mais occorrono 1.220 litri d’acqua, per 1 kg di pollo 4.300 litri, per uno di agnello 10.400, per il manzo 15.400 e per un chilo di caffè tostato ben 18.900 litri di preziosa acqua. Riflettiamoci. Soprattutto quando facciamo la spesa.
Fonte: Pubblicato da Agnese Codignola il 26 marzo 2013
Marta Antonelli e Francesca Greco, L’acqua che mangiamo. Cos’è l’acqua virtuale e come la consumiamo, Edizioni Ambiente, 25 €.
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