Migrazione di uomini e piante
Tra gli appuntamenti previsti all’Expo 2015, il 7 ottobre si svolge il convegno ‘Migrazione di uomini e piante’, coordinato da Giovanni Giuseppe Vendramin, direttore dell’Istituto di bioscienze e biorisorse (Ibbr) del Cnr, in collaborazione con Sveva Avveduto dell’Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps). L’evento multidisciplinare vede la partecipazioni di esperti di paleobotanica, genetica, antropologia e scienze sociali, per spiegare l’affascinante storia delle migrazioni delle piante, un viaggio di milioni di anni, e per raccontare l’interazione con l’uomo, che porta con sé nel suo migrare semi, piante, cibo, cultura, saperi . Si discuterà inoltre di come e se le piante possano sopravvivere a uno dei cambiamenti climatici più repentini della storia del Pianeta e, soprattutto, come possa l’uomo gestire questa complessa migrazione.
“Una delle capacità fondamentali delle piante, spesso sottovalutata, è la migrazione, da una zona geografica all’altra. Le piante compiono considerevoli spostamenti attraverso la dispersione di semi e polline, mediata da animali e/o dal vento. Così è avvenuta, e ancora avviene, la colonizzazione, da parte di alcune piante, di ambienti a loro favorevoli”, spiega Vendramin.
Le più intense ‘migrazioni di massa’ da parte delle piante sono avvenute in epoche passate e sono state determinate da radicali cambiamenti climatici. “Nel Terziario, con una temperatura europea nettamente superiore a quella attuale, erano presenti sulle pianure del nostro continente piante e animali che oggi si trovano nelle zone subtropicali e tropicali”, prosegue il direttore dell’Ibbr-Cnr. “Allo stesso modo durante il Quaternario, con l’inizio della glaciazione, le piante sono sopravvissute nelle zone meridionali d’Europa, dove le condizioni climatiche erano più favorevoli e da dove è iniziato il processo di migrazione/ricolonizzazione quando le condizioni climatiche sono diventate nuovamente favorevoli. Va comunque precisato che alcune specie non hanno dato vita a nessun tipo di esodo e, nonostante si trovassero a occupare habitat ostili, sono sopravvissute all’era glaciale. È il caso, ad esempio, della palma di S. Pietro (Chamaerops humilis), considerate relitti terziari, rifugiatasi sulle rupi più alte e assolate”.
L’uomo ha un ruolo determinante nella storia della migrazione delle piante. Durante il neolitico l’Homo sapiens inizia a muoversi e migrare, fino a toccare quasi tutti i confini delle terre emerse e accessibili, con conseguenze permanenti sull’ambiente naturale. Quando i ghiacci iniziano a sciogliersi, i gruppi umani che hanno superato la glaciazione cominciano a riprodursi rapidamente, causando uno squilibrio tra il numero di esseri umani e il cibo disponibile in natura. Ciò porta allo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento e a pratiche che spingono l’ecosistema a produrre più di quanto avviene in natura.
“I percorsi di piante e popoli sono spesso paralleli e lo spostamento degli uomini porta sempre con sé quello delle piante”, precisa Avveduto, “Nel suo migrare l’uomo tende a ricreare il proprio habitat di partenza e, quindi, semi e piante viaggiano con lui per diventare cibo per riprodurre usi e cultura che però inevitabilmente si modificano mescolandosi a quelli di destinazione, generando nuovi cibi e nuova cultura. L’analisi sociale, culturale e demografica si interseca, dunque, e spesso si sovrappone, a quella bio-vegetale”.
G.E.
Fonte: Giovanni Vendramin , Istituto di bioscienze e biorisorse del Cnr, tel. 055/5225725, email giovanni.vendramin@ibbr.cnr.it.
Fonte: Sveva Avvedutp , Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali, Roma, email s.avveduto@irpps.cnr.it