La conservazione degli alimenti – Come operare in famiglia

La conservazione è un processo antico quanto l’umanità: abbiamo da sempre la necessità di dilazionare nel tempo il consumo delle nostre riserve di cibo. La maggior parte degli alimenti, infatti, si degrada divenendo non commestibile, poco salubre, perdendo le proprie originarie proprietà organolettiche e il proprio valore nutritivo. La ragione è ben nota: la proliferazione di batteri e altri micro-organismi a temperatura ambiente, che producono sostanze tossiche e conducono al degrado. Nel corso dei millenni sono state scoperte numerose tecniche per conservare verdure, frutta, carne, pesce e qualsiasi altro genere alimentare possa venirvi in mente (se vi interessa, potete approfondire qui) e cioè per preservare le proprietà dei cibi, rendendoli fruibili per periodi che vanno da pochi giorni ad alcuni anni.

Ciascuna di esse si basa sull’alterazione di un elemento: la temperatura (la pastorizzazione, per esempio), la composizione dell’atmosfera (come la conservazione sottovuoto o sottolio), il pH o l’acqua (è il caso dei sottaceti e della salatura) fra gli altri. Conservare è semplice, economico e vi garantisce sulla qualità degli ingredienti: chi meglio di voi sa cosa è meglio per sé e la propria famiglia? Ecco alcune norme generali che è bene seguire per essere assolutamente certi della riuscita del processo.

I prodotti

Frutta e verdura dovranno essere perfettamente fresche e giunte alla giusta maturazione: meglio evitare ingredienti eccessivamente maturi o, al contrario, ancora acerbi. Lavatele con molta cura, anche qualora intendiate sbucciarle: la sporcizia contiene alcuni tra i microrganismi più difficili da inattivare. Se intendete conservare a crudo meglio procedere con un bagno acido in acqua acidulata (una miscela di acqua con limone o aceto): proteggerete i vostri ingredienti dall’imbrunimento causato dal contatto con l’aria e disattiverete gli enzimi.In ogni, caso, non lasciate che frutta e verdura assorbano troppa acqua e trattatele con cura per evitare ammaccature.

I vasi

 Lavate le capsule e i vasi Quattro Stagioni in acqua calda ma NON BOLLENTE. Attenzione: vi raccomandiamo di NON BOLLIRE I VASI E LE CAPSULE prima del loro utilizzo, per non compromettere la riuscita del sottovuoto. Ricordate di utilizzare sempre capsule nuove, il cui mastice, perfettamente integro, garantirà la tenuta ermetica.
Riempire un vasetto in maniera ottimale richiede alcuni semplici accorgimenti:
- quando vi riversate il cibo, non salite oltre il livello marcato dalla base del collo;
- se inserite ingredienti tagliati a pezzi, verificate che gli spazi vuoti tra uno e l’altro siano minimi: se non è così, meglio riorganizzare la disposizione (pressare i pezzi gli uni contro gli altri non risolverà il problema);
- se nel vaso si saranno create delle bolle d’aria, fatele uscire aiutandovi con un cucchiaio;
– i prodotti solidi dovranno essere interamente ricoperti dal liquido di governo (olio, aceto o salamoia).Prima di chiudere i Quattro Stagioni, ripulitene accuratamente i bordi, rimuovendo qualsiasi residuo che possa impedire il perfetto avvitamento della capsula.

Pastorizzazione

Vi siete chiesti come mai le confetture e le marmellate durano (quasi) in eterno? È grazie alla pastorizzazione, metodo di conservazione che disattiva i micro-organismi agendo sulla temperatura dei cibi, mentre il corretto invasamento dei prodotti (che crea il vuoto nel vaso) riduce al minimo i rischi di contaminazione. Con i vasi Quattro Stagioni potete scegliere di seguire due differenti procedimenti:
1. la pastorizzazione tramite bollitura;
2. l’invasamento a caldo.

Nel primo caso, la pastorizzazione tramite bollitura, una volta invasata la preparazione, chiudete ermeticamente i Quattro Stagioni avvitando la capsula con decisione, senza forzare troppo. Dovrete inserirli in pentola, con i coperchi rivolti verso l’alto. Per evitare che possano urtarsi l’un l’altro durante la cottura – rompendosi, inclinandosi o incrinandosi – usate dei canovacci: uno lo porrete sul fondo del tegame e avvolgerete con gli altri ogni vasetto, singolarmente. Coprite completamente d’acqua fredda e portate a ebollizione, quindi chiudete con il coperchio e cuocete per il tempo indicato nella ricetta. I Quattro Stagioni dovranno rimanere sempre coperti: se il livello d’acqua dovesse calare, aggiungetene di bollente. Al termine del processo, lasciate raffreddare i vasi nell’acqua di cottura. Estraeteli afferrando il vetro (non la capsula), per evitare che il mastice, ancora molto plastico, si deformi compromettendo la creazione del vuoto.

Per le preparazioni che prevedono cottura, come confetture, marmellate o sughi, potete invasare anche a caldo: preriscaldate i vasi con acqua bollente, riempiteli con la preparazione ancora cocente, chiudete la capsula senza stringere troppo e capovolgeteli immediatamente. Rifuggite le scottature maneggiandoli con dei guanti e ricordate di appoggiarli su una superficie non gelida (evitate marmo e metallo, per esempio). I vasi dovranno rimanere capovolti almeno 15 minuti, dopo i quali potrete riportarli con la capsula rivolta verso l’alto e lasciarli raffreddare in un luogo fresco.

Un suggerimento: se usate questa tecnica vi sconsigliamo di servirvi del più piccolo dei nostri Quattro Stagioni, quello da 0,15 litri. Minore il contenuto e più rapido il raffreddamento: questo tempo potrebbe non essere sufficiente perché nel vaso si formi il vuoto.
 
Conservare in salamoia

L’immersione in salamoia è una delle più antiche tecniche di conservazione e prevede che i cibi vengano ricoperti da una soluzione di acqua e sale (la quantità minima è di 50 grammi per litro d’acqua), aromatizzata o meno: il sale agisce come disinfettante, disattivando tutti i germi patogeni presenti. Previa cottura, le verdure andranno tuffate in abbondante salamoia, invasate nei Quattro Stagioni avendo cura di minimizzare gli spazi vuoti tra una e l’altra e chiuse ermeticamente con la capsula, che andrà avvitata con decisione, ma senza forzare troppo. Qui qualche idea per portare in tavola il meglio di ogni stagione.

I sottaceti Quattro Stagioni

Cipolline, cavolfiori, giardiniera… tutte meraviglie dell’orto che durano anni, mantenendo invariati i propri valori nutritivi. È questione di pH: quello dell’aceto è inferiore a 4.6 quindi, mentre conferisce ai cibi il tipico sapore aspro che lo contraddistingue, elimina la maggior parte dei batteri. Conservare con questo metodo è semplicissimo: basta lessare le verdure in abbondante acqua salata (con eventuali aromi), invasarle nei Quattro Stagioni e ricoprirle con l’aceto, che avrete fatto bollire a parte, per poi chiudere la capsula, avvitandola con decisione ma senza forzare troppo. Qui le nostre idee in cucina. Non ci sarà bisogno di alcuna preventiva sterilizzazione: saranno la salinità della soluzione, la temperatura di fermentazione e l’esclusione dell’ossigeno a determinare quali microrganismi prevarranno, determinando di conseguenza il sapore del cibo.

I sottoli Quattro Stagioni

L’olio isola gli ingredienti dal contatto con l’aria, bloccando così l’azione dei batteri aerobi, quelli cioè che si sviluppano grazie all’apporto di ossigeno. Dato che è inefficace contro i batteri anaerobi, come per esempio il botulino, per tutelarsi sarà sufficiente sbollentare le verdure in una soluzione acida: la miscela dovrà contenere ¾ d’aceto e ¼ d’acqua, oppure il succo di tre limoni per ogni litro d’acqua. Volendo potete aggiungere il sale. I tempi di cottura, naturalmente, varieranno a secondo del tipo di verdura. Sottolio si può conservare praticamente tutto: dai peperoni alle melanzane, dai pomodori ai carciofini. Una volta che gli ingredienti saranno cotti, disponeteli nel vasetto cercando di limitare gli spazi vuoti (che, volendo, potete riempire con spezie e aromi), ricoprite con l’olio e avvitate la capsula Quattro Stagioni, avvitandola con decisione ma senza forzare troppo.

Fonte: Quattro Stagioni

 

  • antonio casolari

    Ad ogni considerazione, premetterei questa incontrovertibile realtà, da Food Technology: ”
    A study published in the Journal of Nutrition and Food Sciences found that canned foods may be less expensive and offer a more convenient way to get nutrients than their fresh, frozen, and dried counterparts.” [“Canned
    Fruits, Vegetables, Beans and Fish Provide Nutrients at a Lower Cost Compared
    to Fresh, Frozen or Dried.” Kapica, C. and Weiss, W., 2012, Journal of Nutrition
    & Food Science 2:131].

    La posizione dell’azienda che vergognosamente continua a sostenere gli
    ipotetici/irrealistici/falsi vantaggi derivanti dalla home-preparation di
    alimenti ‘invasettati’/’conservati’ a livello domestico, è vergognosa. E’ come
    se l’Azienda riaffermasse: “Noi siamo idioti, visto che produciamo a
    livello indistriale, con elevati costi analitici e di personale altissimamente
    specializzato, con il massimo grado di informazione tecnologica/chimico-fisica
    e biologica. E con noi tutti i responsabili delle produzioni industriali di alimenti.” Bisognerebbe invocare forse un intervento dell’Unione Industriali, a raddrizzare la situazione. E ciò non a difesa incondizionata delle Aziende Alimentari – ma anzitutto a difesa del consumatore – per l’obiettiva situazione di assoluto vantaggio che comporta per il consumatore, la produzione di alimenti industriali, analizzati in pressoché tutti gli aspetti chimico-fisici e biologici, rispetto ad alimenti NON-controllati sotto nessun aspetto rigorosamente / scientificamente qualificato, quali sono gli alimenti preparati a livello domestico per essere conservati.

    E’ una vergogna,
    appunto, che un’Azienda peraltro rispettabile (?) non riconosca il rilievo
    estremamente qualificante degli apporti tecnologici, rispetto alla ignoranza
    malauguratamente diffusa a livello domestico. E ciò non tanto per volontaria
    insipienza diffusa nella domesticità, bensì per carenza istituzionale:
    mostratemi un insegnante provvisto delle basilari conoscenze sulla natura dei
    processi di conservazione degli alimenti, e allora potremo riparlarne.

    D’altra parte, il seppur limitato florilegio ricavato dal testo presentato in AROUND LAB NEWS (fonte Quattro Stagioni), ne può essere considerata la prova inoppugnabile.

    Eccola: “.. il pH o l’acqua (è il caso dei sottaceti e della salatura) fra gli
    altri garantisce sulla qualità degli ingredienti … conservare a crudo meglio
    procedere con un bagno acido in acqua acidulata (una miscela di acqua con
    limone o aceto):..”. Non occorre essere apprendisti tecnologi/chimici/biologi
    per sapere che un ‘bagno acido’ non può avvenire che ‘in acqua acidulata’. In
    ogni modo, una “miscela di acqua con limone o aceto” non basta, per accrescere la conservabilità. E’ indispensabile definire esattamente – ossia gr o ml di acido
    / litro d’acqua. Uno dei pilastri fondamentali della tecnologia di conservazione è il valore di pH, l’acidità del sistema alimento racchiuso nel contenitore e trattato termicamente.

    Eppoi, chi ha in casa un piaccametro, alzi la mano, per favore!

    “ ..disattiverete gli enzimi…” Meglio affidarsi alla pastorizzazione, per l’inattivazione degli enzimi.

    “ In ogni, caso, non lasciate che frutta e verdura assorbano troppa acqua ..” Ci si chiede, ‘in che modo?’.

    “ ..organizzare la disposizione (pressare i pezzi gli uni contro gli altri non risolverà
    il problema); .. “ Non solo; ma la eccessiva compattezza del contenuto
    limiterà in misura non prevedibile la possibilità di pastorizzazione/
    sterilizzazione del prodotto. E quindi di ‘stabilizzazione’ del prodotto nel corso del tempo.

    “..come mai le confetture e le marmellate durano (quasi) in eterno? È grazie alla pastorizzazione, metodo di conservazione che disattiva i micro-organismi agendo sulla temperatura dei cibi, mentre il corretto invasamento dei prodotti (che crea il vuoto nel vaso) riduce al minimo i rischi di contaminazione. “ Nemmeno per le marmellate, il prodotto che più facilmente si potrebbe preparare a livello domestico, si danno indicazioni corrette: le marmellate, contengono oltre il 55-65% di zucchero (saccarosio) aggiunto; inoltre, la frutta è naturalmente acida, per la naturale presenza di acido citrico (fatte poche eccezioni). La conservazione della marmellata avviene dunque perché (1) pochi microrganismi – e nessun microrganismo patogeno – sono in grado di accrescersi in ambiente sufficientemente (pH < 3.9) acido e a così elevate concentrazioni di zucchero; 2 – tali microrganismi – batteri , lieviti e muffe – non sono in grado di sopravvivere a trattamenti termici , definibili seppure con approssimazione, di pastorizzazione. E comunque, “le marmellate durano (quasi) in eterno” (?), finché il contenitore, il vasetto, rimane ermeticamente chiuso. Una volta aperto, è immediatamente contaminato da muffe e lieviti – sempre presenti nell’aria – e alterato: ben visibili sono le chiazze verdi / gialle / azzurre delle diverse specie di muffe che si formano alla superficie della marmellata – anche se tenuta in frigorifero – o la ‘fermentazione’ degli zuccheri con il ribollire di anidride carbonica.

    “Minore il contenuto e più rapido il raffreddamento: questo tempo potrebbe non essere sufficiente perché nel vaso si formi il vuoto.” Inutile (?) dire che la tecnologia della produzione industriale conosce perfettamente l’entità delle variabili coinvolte: relazione peso di prodotto – diverso per ogni prodotto – / volume del contenitore; e tempo di trattamento termico necessario per raggiungere in ogni condizione, l’obiettivo auspicato; pastorizzazione o sterilizzazione del prodotto. Ma a livello domestico, come si fa?

    “..la quantità minima è di 50 grammi per litro d’acqua), aromatizzata o meno: il sale agisce come disinfettante, disattivando tutti i germi patogeni presenti…” Balle! Il sale non è per nulla un disinfettante. Basti ricordare che il
    prosciutto, ad esempio, contiene in diverse frazioni, più del 9% di sale (90 gr
    di sale per kg), e ciononostante, è pieno di microrganismi: contiene da più di un milione fino a centinaia
    di milioni di batteri per grammo di stagionato. E ancora, se si vuole, gli
    stafilococchi – batteri a forma approssimativamente sferica, presenti sulle
    mani, al naso, alle orecchie, nei capelli, e la pelle in genere di tutti gli umani – non so
    gli umanoidi – crescono talmente bene in presenza di 75 gr di sale/kg d’acqua,
    che tale condizione è addirittura impiegata in laboratorio per far crescere
    soprattutto loro, gli stafilococchi, e così individuarli più facilmente. Si
    potrebbe aggiungere che per impedire lo sviluppo di alcune muffe tossinogene o
    addirittura aflatossinogene (le aflatossine sono i più potenti cancerogeni
    conosciuti), oltre a diversi batteri estremamente patogeni, occorrerebbero
    soluzioni contenenti ben più di 50 g di sale / kg d’acqua, bensì 344g di
    sale/kg d’acqua (aw≈0.75) per l’Aspergillus
    ochraceous; 321 g di sale (aw≈0.77) per l’Asp. flavus; 268g di sale / kg d’acqua (aw≈0.82) per l’Asp. parasiticus; 148 g di sale /kg d’acqua
    (aw≈0.92) per la Listeria monocytogenes;
    134 g/kg d’acqua (aw≈0.93) per impedire lo sviluppo di E. coli, alcune Salmonella
    e Clostridium botiulinum dei tipi A,
    Bp e Fp (produttore della tossina più letale conosciuta); ecc. Infine, in
    soluzioni di 50 g di sale (cloruro sodico) per kg d’acqua (aw≈0.98) potrebbero
    svilupparsi diversi batteri patogeni: Salmonella
    choleraesuis, Aeromonas, Yersinia sp. (tra cui l’agente della peste), Cl. perfringens (agente della cancrena
    gassosa e di diverse tossine), Cl.
    botulinum dei tipi Bnp, E, Fnp (1 gr di neurotossina botulinica contiene
    sufficienti dosi letali per circa un milione di individui), S. derby, S. enteritidis, S. typhimurium, S. gallinarum, Vibrio parahaemolyticus.

    “.. Cipolline,
    cavolfiori, giardiniera… tutte meraviglie dell’orto che durano anni, mantenendo
    invariati i propri valori nutritivi..” Nessun prodotto può mantenere invariati
    i propri principi nutritivi ‘per anni’; nemmeno se preparato nelle condizioni –
    seppure – ottimali realizzate dall’industria. Del resto, tutto ciò che esiste,
    non si può sottrarre alla legge inappellabile della degradazione entropica.

    “ Sottolio si può
    conservare praticamente tutto: dai peperoni alle melanzane, dai pomodori ai
    carciofini. Una volta che gli ingredienti saranno cotti, disponeteli nel
    vasetto cercando di limitare gli spazi vuoti (che, volendo, potete riempire con
    spezie e aromi), ricoprite con l’olio e avvitate la capsula Quattro Stagioni,
    avvitandola con decisione ma senza forzare troppo.” Sarebbe d’obbligo avvertire gli incauti ‘apprendisti’
    preparatori di conserve vegetali, che più del 75% delle intossicazioni letali
    da conserve alimentari, sono proprio dovute a conserve di ortaggi preparati a
    livello domestico. C’è un’enorme differenza tra pomodori e melanzane, tra
    carciofini e peperoni, quanto a difficoltà di conservazione. Pur senza tener
    conto della resistenza termica di certi batteri sporigeni – la cui
    sopravvivenza può determinare l’alterazione dei prodotti, ma non la loro
    pericolosità per la salute del consumatore – è obbligo ricordare che a livello
    domestico è impossibile – in mancanza delle attrezzature tecniche adeguate,
    impiegate necessariamente nella preparazione industriale delle conserve –
    stabilire l’entità del trattamento termico necessario e sufficiente alla
    distruzione delle spore del batterio che produce la neurotossina più letale che
    si conosca; quella botulinica, appunto: trentacinque milioni di volte più potente
    del cianuro di potassio. La distruzione
    delle spore del batterio Clostridium
    botulinum richiede almeno cinque (5) ore (300 minuti) di trattamento
    ininterrotto all’ebollizione (≈100°C), per contenitori di sola acqua; tale
    tempo aumenta in funzione del tipo e della quantità dell’alimento contenuto. Ma
    come stabilire tale ‘tempo di sterilizzazione’, a livello domestico, senza
    disporre delle conoscenze e delle attrezzature indispensabili/necessarie?

    Infine, è un
    atteggiamento colpevole, suggerire il coinvolgimento di persone non-competenti,
    prive delle conoscenze e delle attrezzature necessarie, in attività che possono
    risultare in uno spreco di materiali e di alimenti, per arrivare fino alla
    compromissione della sopravvivenza delle persone.

    Come assaggio di
    contestazione, potrebbe bastare.

    Antonio Casolari