Nanomondo
Un breve excursus dalle nanoparticelle d’oro alle nanoparticelle organiche
Oggigiorno, quasi quotidianamente, sentiamo parlare di nanoparticelle. A volte in accezioni negative, come quando si parla di inquinamento da polveri sottili, a volte in termini positivi, come quando si descrivono nuovi materiali o nuovi trattamenti medici.
Ma da cosa e come sono fatte le nano-entità? Quali potenzialità offrono? E perché la ricerca è così attiva in questo campo?
Occorre premettere che esistono tantissimi tipi di nanoparticelle, per cui una classificazione organica risulta alquanto difficile, tuttavia, possono essere schematicamente raggruppate in tre grandi macro-famiglie: inorganiche, costituite da metalli e semiconduttori, ibride (inorganiche/organiche) e totalmente organiche. Ciascun gruppo raccoglie una vastissima gamma di nanostrutture con differenti proprietà e differenti campi di applicazione. Si va, ad esempio, dal settore bio-medicale, al fotovoltaico, all’optoelettronico, fino al cosmetico.
Una nanoparticella viene generalmente definita come una struttura di dimensioni da due fino ad un centinaio di nanometri (nm). Immaginiamo una tacca di un millimetro su un righello, dividiamola in mille parti, una di queste mille parti dividiamola in dieci parti. Otteniamo cento nanometri. Da questa semplice visualizzazione si può capire quanto siano piccole queste strutture, talmente piccole da non poter essere osservate con un comune microscopio ottico, ma di necessitare di particolari microscopi, come il microscopio elettronico a trasmissione o il microscopio a forza atomica.
Storicamente, le prime nanoparticelle utilizzate dall’uomo furono le nanoparticelle metalliche d’oro e argento a causa delle loro particolari proprietà ottiche, tali per cui erano in grado di conferire al vetro diverse colorazioni. Una sospensione di nanoparticelle d’oro sferiche, infatti, non ha colorazione giallo-oro, come ci si potrebbe aspettare dall’osservazione di un pezzo d’oro, ma colorazione arancio-rossa (Figura 2). Tale fenomeno è dovuto al fatto che le proprietà dei materiali, a seconda che siano strutturati in bulk o in nanosistemi, possono cambiare radicalmente. In particolare, nel caso di nanoparticelle metalliche, gli elettroni di conduzione sono confinati in dimensioni nanometriche. Quando la nanoparticella viene colpita da una radiazione elettromagnetica (come può essere una radiazione luminosa), gli elettroni di conduzione iniziano ad oscillare, comportandosi come oscillatori forzati accoppiati. La frequenza di oscillazione collettiva di questi elettroni prende nome di risonanza plasmonica di superficie localizzata ed è responsabile della colorazione caratteristica delle nanoparticelle. Modulandone la forma, ad esempio da sferica a cilindrica, è possibile cambiare la frequenza di risonanza, ottenendo così nanoparticelle d’oro da più svariati colori, dal blu, fino al rosso. Tali fenomeni sono tipici delle nanoparticelle metalliche.
Attualmente i campi di applicazione delle nanoparticelle metalliche sono in continua espansione e la ricerca è molto attiva in questo campo da tanti anni Ecco alcuni esempi di utilizzo:
Terapia fotodinamica: vi sono nanoparticelle d’oro (nanoshell e nanofili) in grado di produrre calore se eccitate a 700 – 800 nm. Tali nanoparticelle vengono opportunamente funzionalizzate in superficie con gruppi studiati per il riconoscimento di cellule tumorali. Le cellule tumorali che hanno “inglobato” tali nanoparticelle vengono quindi uccise dal calore sprigionato dai nanosistemi.
Catalisi: vengono utilizzate come efficienti catalizzatori in diverse reazioni chimiche, ad esempio la reazione di ossidazione del glucosio ad acido gluconico o la reazione di metil glicolato a partire da glicole etilenico e metanolo.
Diagnostica: possono essere utilizzate in un’ampia varietà di sensori. Molto interessante è la tecnica ERS (Surface Enhanced Raman Spectroscopy) in cui le nanoparticelle vengono utilizzate come substrato su cui vengono depositate le molecole da analizzare; la presenza delle nanostrutture è in grado di amplificare fortemente il segnale Raman rendendo la tecnica sensibile anche all’analisi di singola molecola.
Passando dal campo inorganico al campo organico, un tipo di nanoparticelle su cui la ricerca si è concentrata solo negli ultimi anni, ma che risultano fortemente promettenti in diversi ambiti come il fotovoltaico, il medicale e l’optoelettronico sono le nanostrutture totalmente organiche. Esse hanno le peculiarità di essere costituite essenzialmente da materiali “soft” come polimeri o piccole molecole e, quindi, di avere potenzialmente tossicità minore rispetto alle nanoparticelle costituite da metalli o semiconduttori. Questo aspetto risulta molto importante sia da un punto di vista di impatto ambientale, sia per quanto riguarda le applicazione biomedicali. Esistono numerosi tipi di nanoparticelle organiche, tra cui si possono annoverare ad esempio i nanodots organici, i nanoaggregati, le nanoparticelle polimeriche, le nanoemulsioni (sistemi micellari).
I nanodot sono nanostrutture in cui i cromofori, di uno o più tipi, sono legati covalentemente ad una struttura dendrimerica (Figura 3, sinistra). Il loro vantaggio è quello di poter avere struttura, numero di cromofori e grandezza controllati ma, di contro, la sintesi può risultare molto lunga e dispendiosa.
I nanoaggregati organici, chiamati comunemente anche nanoparticelle organiche, sono nanoparticelle costituite da uno o più tipi di cromofori non legati covalentemente, ma tenuti insieme da forze attrattive deboli (Figura 3, destra). La loro preparazione risulta molto semplice e veloce, di contro, è molto difficile riuscire a controllare le dimensioni finali delle nanostrutture ottenute. Vengono comunemente sintetizzate utilizzando un metodo chiamato riprecipitazione: un’aliquota di soluzione concentrata di cromoforo, disciolto un solvente organico miscibile in acqua (come acetonitrile, etanolo o tetraidrofurano), viene aggiunta ad un grande volume di acqua. Anche se il processo non è stato ancora intimamente compreso, la formazione delle nanoparticelle viene ad oggi spiegata secondo la teoria di nucleazione classica: dal momento che il cromoforo utilizzato non è solubile in acqua, il cambio repentino dell’intorno provoca il raggiungimento del livello di sovrassaturazione. Di conseguenza si ha l’aggregazione delle molecole e la formazione delle nanoparticelle . Con lo stesso metodo possono essere preparate anche nanoparticelle polimeriche.
Le nanoemulsioni, invece, vengono ottenute con un metodo di preparazione completamente diverso: le molecole (o i polimeri) vengono sciolti in un solvente organico immiscibile in acqua. All’acqua viene aggiunto un tensioattivo in concentrazione superiore alla concentrazione micellare critica. Si uniscono fase acquosa e organica sotto agitazione o sonicazione per ottenere la nano/micro emulsione. Questi tipi di micro/nanostrutture sono molto usate nei settori medicale o cosmetico, esse infatti, permettono di ottenere sospensioni colloidali acquose di molecole liposolubili. Sono quindi principalmente studiate e applicate in sistemi a rilascio di farmaci o come veicolanti di principi attivi cosmet
Qualora venga utilizzato un solvente organico volatile, come ad esempio cloroformio o diclorometano, è possibile asportare tale solvente dall’interno delle micelle tramite evaporazione sotto vuoto. Questo permette di ottenere nanoaggregati di molecole organiche, come quelli ottenuti mediante tecnica di riprecipitazione, ma a dimensione controllata. Il tensioattivo può essere rimosso per centrifugazione e successivi risciacqui.
Le applicazioni più comuni dei nanodots e nanoaggregati organici sono il settore medicale dove ad esempio vengono utilizzate come sonde (materiali di contrasto) per la microscopia bifotonica in vivo, il fotovoltaico organico e le applicazioni optoelettroniche in generale.
Fonte: Chimicare NewsLetter